LETTERE
Critichiamo,
ma piantiamola con il boicottaggio
Decisione
faziosa e di parte
E'
con grande sorpresa che ho letto l'intervento di Marco d'Eramo sul
manifesto di domenica scorsa. Egli infatti è caduto nella
stessa trappola in cui hanno finto di cadere alcuni commentatori
faziosi. Nessuno io credo (e non sarebbe comunque la mia opinione) si
propone di mettere il bavaglio agli scrittori israeliani o a
chicchessia. Si fosse trattato di un qualunque incontro di scrittori,
o esposizione di libri, sarebbe stata iniziativa lodevole e
benvenuta, come benvenuti sono coloro che pensano e scrivono, non
importa in quale nazione e paese. Il fatto è che la Fiera del
libro di quest'anno ha scelto di avere come ospite d'onore lo stato
d'Israele nel 60° anniversario della sua fondazione. E questa è
ben altra cosa. Che attiene molto più alla politica degli
stati che alla cultura. E non perché io ritenga sia in
discussione l'esistenza dello stato d'Israele. Al contrario: perché
io vedo - confermato dal sangue di questi giorni e dalla catastrofe
umanitaria di Gaza - che è in discussione l'esistenza dello
stato palestinese. Anzi, essa è proprio, attivamente,
tenacemente, ferocemente impedita dallo stato d'Israele, contro la
volontà della maggioranza della comunità internazionale
e della stessa Ue. Dunque la scelta della Fiera del Libro è
decisione faziosa e di parte, che non può non essere percepita
che come scelta di parte da chi si batte per avere la sua terra e per
poterci vivere in pace. Mi auguro che vi sia ancora il modo di
modificare quella scelta infausta e sbagliata e che si possa
organizzare l'esposizione dei libri di tutti gli scrittori della
terra martoriata di Palestina, a prescindere dallo stato di cui hanno
il passaporto e che tutti vi si possano confrontare in pace. La pace
non c'è e non si potrà aiutarla a esserci celebrando la
vittoria degli uni sugli altri.
Giulietto
Chiesa
Preferire
il dialogo e la persuasione
Vorrei
fare qualche valutazione critica sul modo in cui è stata
condotta la discussione sulla Fiera del libro di Torino. Premetto che
quella del boicottaggio mi è parsa subito una cattiva idea. Ma
che, come Ester Fano e diversamente da Marco d'Eramo, ne comprendo e
ne rispetto le ragioni. Le ragioni sono semplici e sono state
enunciate con chiarezza. Esse risiedono nel «carattere
celebrativo» che l'invito a (o l'autocandidatura di) Israele ha
assunto fin dall'inizio. Il giorno della Dichiarazione d'Indipendenza
(15 maggio 1948) è un giorno di festa per Israele, ma un
giorno di dolore e di lutto per i palestinesi: questo hanno detto i
fautori del boicottaggio. (Devo aggiungere che chi non ama unirsi ai
festeggiamenti non per questo contesta il diritto all'esistenza dello
stato di Israele?Sì, devo farlo). Qualsiasi riferimento
all'argomento portato a sostegno del boicottaggio è assente
nell'intervento di d'Eramo. Che si concede i fasti dell'invettiva
accusando i fautori del boicottaggio di essere disposti a dialogare
solo con chi è d'accordo con loro. L'intervento di Mariuccia
Ciotta mi è parso assai più equilibrato, ma menziona
l'intento celebrativo solo per dichiararlo irrilevante. Ben diversa
la posizione di Ester Fano, che dichiara «comprensibile»
ma «sterile» la minaccia del boicottaggio: sterile perché
«azzera la figura dell'antagonista, ma così rinuncia a
ridimensionarlo criticamente». Anche nella discussione sul
manifesto (per non parlare degli altri giornali) si è
affacciata la tendenza ad «azzerare la figura dell'antagonista»
dipingendolo non come nemico delle celebrazioni ma del dialogo.
Quanto all'umanissima, pur se discutibile, tendenza a preferire il
dialogo con chi ci è meno lontano, vorrei fornirne un esempio
io stesso non solo scrivendo, come faccio, al manifesto ma anche
suggerendo ai suoi lettori un piccolo, straordinario straordinario
libro: «Cattivi ricordi. Il dibattito in Israele sulle
espulsioni di palestinesi nel 1948-1949», pubblicato dalla
cooperativa «Una città» di Forlì, alla
quale può essere richiesto (www.unacitta.it). Costa 12 euro
comprese le spese di spedizione; 10 euro per gli abbonati
alla
bella rivista dallo stesso titolo. Il cuore del libro è
rappresentato da un saggio di Anita Shapira sul percorso attraverso
cui l'espulsione dei palestinesi dalle loro terre è stata
«dimenticata» dalla società israeliana. Si tratta
di un contributo importantissimo e di assoluta attualità,
perché qual tanto di buono che può avvenire in Medio
Oriente passa necessariamente attraverso la ricostruzione della
memoria e l'assunzione di responsabilità, da parte della
società israeliana, per l'espulsione in massa dei palestinesi
e per le violenze e le atrocità che l'hanno accompagnata. Il
giorno in cui ciò si verificasse, vi sarebbe, allora sì,
qualcosa da celebrare. Nel frattempo il dialogo e la persuasione
restano le nostre uniche risorse. Ma di questo, ne sono sicuro, i
fautori del boicottaggio sono convinti tanto quanto i loro critici.
Fernando
Vinello
Boicottare
non significa censurare
In
questi giorni in molti ci stiamo domandando sull'opportunità e
sull'efficacia del boicottaggio. Molto spesso si leggono parole come
censura, chiusura, divieto, ma senza che ci si renda conto di quanto
fuori luogo siano in questo contesto. Secondo me, boicottare
significa rinunciare a partecipare e invitare altri alla non
partecipazione. Non c'entra nulla con la censura. Sono favorevole al
boicottaggio, benché abbia diversi dubbi sulla sua efficacia.
L'iniziativa presa dalla Fiera del Libro è piena di magagne e
di ipocrisia. Come si può parlare di apertura alla cultura
ebraica quando si celebra il 60° anniversario della nascita di
Israele? Come si può ignorare l'azione diplomatica di Tel
Aviv, volta a rimuovere l'Egitto quale ospite iniziale della Fiera?
Con che coraggio si parla di intellettuali, quando questi sono stati
«proposti» dai ministeri degli esteri e della cultura
israeliani?(...) Naturalmente questa libera manifestazione della
cultura di un popolo esclude personaggi scomodi come Pappe e
Warschanski. Il problema non sta nella decisione di invitare o no
intellettuali palestinesi, ma nel fatto che l'eventuale controparte
si troverebbe di fronte a meri militanti politici e nient'altro. La
decisione degli organizzatori della Fiera è sbagliata sul
piano simbolico, formale e sostanziale. Ma quello che fa male è
accorgersi che Valentino Parlato e Mariuccia Ciotta (con i quali
pensavamo di condividere un percorso comune, fatto di analisi critica
e mai superficiale della realtà) si adagino su affermazioni
aprioristiche, inzuppate di pressappochismo e di gravi lacune di
cultura storico-politica. Nel suo articolo, Mariuccia Ciotta in buona
sostanza riconosce all'Israele del 1948 «l'indiscutibile
diritto» di prendersi quello che gli spettava. Gentile
direttrice, senza scomodare un palestinese come Eward Said, o un
israeliano antisionista come come Ilan Pappe, la ben più
moderata Tanya Reinhart, nel fondamentale «Distruggere la
Palestina», pur sottolineando l'impossibilità di
«buttare a mare» gli israeliani (per l'ovvia ragione che
oggi come oggi si tratterebbe di una nuova e drammatica pulizia
etnica), riconosceva senza troppi giri di parole il peccato originale
di cui si erano macchiati i sionisti. Perché anche chi come me
non ama confini e pratriottismi non può pretendere di dare di
diritto una terra agli oppressi, creandone brutalmente di nuovi.
Perché «l'indiscutibile diritto» suona molto
affine a quel «ad ogni costo» che ha caratterizzato
sessant'anni di sopraffazioni.
Giulio
Gori
Articolo
limpido
Sono
un collega di Lettera 22 e volevo dire che sottoscrivo parola per
parola quanto ha scritto Mariuccia Ciotta sul boicottaggio della
Fiera del libro. Era un pezzo che non leggevo un articolo così
limpido su un dilemma che ci rende spesso così torbidi.
Grazie.
Attilio
Scarpellini