Perché
non parteciperò alla Fiera del libro
Il
Manifesto, 6 February 2008
TARIQ
ALI’
Quando
ho accettato di partecipare alla Fiera del libro di Torino, cosa che
avevo fatto in precedenza, non avevo idea che l'«ospite
d'onore» fosse Israele con il suo 60esimo anniversario. Ma
questo è anche il 60esimo anniversario di quella che i
palestinesi chiamano la nabka: il disastro che si abbatté su
di loro quell'anno, quando furono espulsi dai loro villaggi, in
alcuni casi uccisi, le donne stuprate dai coloni.
Questi
fatti non sono più in discussione. Perché dunque la
Fiera del libro di Torino non ha invitato israeliani e palestinesi in
pari numero? La presenza, accanto a trenta autori israeliani, di
trenta autori palestinesi (e vi garantisco che ne esistono: sono
poeti e romanzieri raffinati) avrebbe potuto essere vista come un
gesto positivo e pacifico, e avrebbe consentito un dibattito
costruttivo: una versione letteraria della West-Eastern Diwan
Orchestra di Daniel Barenboim, metà israeliana, metà
palestinese.
Una
scelta di questo tipo avrebbe unito le persone, ma no. I commissari
della cultura sanno quello che fanno. Ho discusso energicamente con
alcuni degli scrittori israeliani presenti alla Fiera del libro in
altre occasioni, e sarei stato felice di fare lo stesso anche questa
volta, se le condizioni fossero state diverse. Quello che hanno
deciso di fare è una brutta provocazione.
Sembrerebbe
che la cultura sia sempre più legata alle priorità
politiche del duo Stati uniti-Unione europea. L'Occidente è
cieco nei confronti delle sofferenze dei palestinesi. La guerra
israeliana contro il Libano, le notizie quotidiane dal ghetto di Gaza
non commuovono l'Europa ufficiale. In Francia, lo sappiamo, è
praticamente impossibile criticare Israele. In Germania pure, per
motivi particolari. Sarebbe triste se l'Italia imboccasse la stessa
strada. Quante volte dobbiamo sottolineare il fatto che criticare le
politiche colonialiste di Israele non è una forma di
antisemitismo?
Accettare
quel principio significherebbe diventare vittime volontarie del
ricatto cui l'establishment israeliano ricorre per tacitare le voci
dissenzienti. Ma ci sono alcune persone coraggiose, come Aharon
Shabtai, Amira Hass, Yitzhak Laor e altri, che criticano Israele e
non intendono permettere che le loro voci siano imbavagliate in
questo modo. Shabtai si è rifiutato di partecipare a questa
Fiera. Come avrei potuto fare altrimenti. Una cosa è difendere
il diritto di Israele a esistere, come faccio e ho sempre fatto. Ma
da questo a trarre la conclusione che il diritto di Israele a
esistere si traduca nella concessione di un assegno in bianco per
fare ciò che vuole di quanti ha espulso, e che tratta come
untermenschen, è inaccettabile.
Personalmente
sono favorevole a un solo stato israeliano-palestinese in cui tutti i
cittadini siano pari. Mi si dice che questo è utopistico. Può
darsi, ma è l'unica soluzione a lungo termine. Per via degli
argomenti di cui trattano i miei romanzi, mi viene spesso chiesto
(l'ultima volta a Madison, nel Wisconsin) se sarebbe possibile
ricreare l'epoca migliore della al-Andalus e della Sicilia, quando
tre culture coesistettero a lungo. La mia risposta è la
stessa: oggi l'unico luogo dove essa potrebbe rivivere è
Israele/Palestina.
Viviamo
in un mondo di doppi standard, ma non è necessario accettarli.
A volte accade che individui e gruppi a cui viene fatto del male,
infliggano il male a loro volta. Ma la prima cosa non giustifica la
seconda. E' stato l'antisemitismo europeo a tollerare il genocidio
degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, genocidio di cui i
palestinesi sono ora diventati indirettamente le vittime.
Molti
israeliani sono consapevoli di questo fatto, ma preferiscono non
pensarci. E molti europei oggi guardano ai palestinesi e ai musulmani
così come un tempo guardavano gli ebrei. Questa è
l'assurda ironia cui assistiamo nei commenti sulla stampa e in
televisione, virtualmente in ogni paese europeo. E' un peccato che la
burocrazia della Fiera del libro di Torino abbia deciso di
assecondare i nuovi pregiudizi che spazzano il continente.
Auguriamoci che il loro esempio non sia seguito da altri.
(Traduzione
Marina Impallomeni)