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Visti per Voi » The tree of life  

THE TREE OF LIFE
di Andrea Pradella


Regia: Terrence Malik
U.S.A., 2011
Voto 8

Che cos’è l’uomo? Chi è l’uomo? Da dove è venuto? Che senso ha il suo esistere? Che cos’è la vita? Che cos’è la morte? Perché soffriamo? Perché gioiamo? Cos’è il dolore? E l’amore? In che misura si bilanciano “bene” e “male”? In che cosa crede l’uomo? Perché crede? Quali sono le speranze dell’uomo? Quali sono i sogni dell’uomo?
-VUOTO-
Acqua. Terra. Aria. Fuoco.
Eventi cosmici. Remote costellazioni. Il rallentare del tempo. Il perdersi nello spazio. Disgregazione molecolare. Vibranti forme incandescenti. Le prime forme di vita. L’eterna affermazione della natura. Il microcosmo. Il macrocosmo.
-VUOTO-
Anni ’50. Cittadina americana del Midwest. Storia di una normale famiglia. Un padre autoritario. Una madre infinitamente permissiva. Tre giovani figli. La narrazione della prematura morte di uno dei bambini è il “ponte” logico con cui il regista racconta “la storia nella storia”. Dalle profonde e contrapposte emozioni dei personaggi si compie il raffinato e azzardato “salto” all’intimità dell’uomo, di cui anche lo spettatore entra a farne parte. Dal razionale all’irrazionale.
-VUOTO-
I nostri giorni. Grattacieli, cemento. Spazi confinati, chiusi. Lo sguardo assente e silenzioso di un uomo. È il primogenito diventato adulto ma al contempo privato di ogni suo senso. Aggrappato tenacemente al ricordo e all’oblio. L’incolmabile vuoto esistenziale di un presente che arranca e fatica a trovare essenza. Il restare attaccato alla propria esistenza attraverso la continua e incessante riproposizione di ciò che è già stato vissuto. Ciò che siamo a partire da ciò che siamo stati.
-VUOTO-
Un’epica sinfonia di immagini accostate l’una all’altra in una sequenza priva di ogni logica e ragione. Resta solo il vivere con partecipazione l’estasi fine a se stessa. E il regista carica questo primo piano emozionale ricavato dalle immagini attraverso Brahms, Mahler, Mozart, Bach e altri compositori di celebri sinfonie. La sinfonia nella sinfonia. Le note si sovrappongono alle immagini. Ne prolungano le sensazioni. Ne esaltano le emozioni. Ogni forma di ragione è lasciata al di fuori del vortice multisensoriale elaborato dal regista. Il costante utilizzo della “voce fuori campo” vuole forse essere il terzo timbro dell’opera del regista, sempre nell’ottica di esercitare il totale abbandono dello spettatore al proprio intimo primordiale istinto di emozione. In questo caso forse l’”eccesso risulta eccessivo”, poiché la guida che la voce narrante offre, tende a veicolare la libera associazione di idee e sensazioni nel tentativo di porre, nei confronti di chi “è in ascolto”, le giuste domande.
Occorre premiare, a mio avviso, il coraggio con cui il regista, al suo quinto film in quarant’anni di produzione e a settanta anni di età, pone in essere per raccontare “tutto ciò che è” e che si dirama attraverso la vita, in ogni sua percezione razionale ed irrazionale.
Un folle azzardo che vale un riconoscimento al di là della Palma d’oro ricevuta quest’anno.
A ciascuno spettatore è lasciato il compito di “guardare” attraverso se stessi, in maniera intima e privata. Colmare i “VUOTI” concettuali lasciati appositamente aperti dal regista. Ad ognuno le proprie emozioni.
 
  


 

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