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Visti per Voi » Transcendence  
TRANSCENDENCE
di Enrico Gatti


Regia: Wally Pfister
USA, 2014
Voto: 5


L’ambizioso scienziato Will Caster sta cercando di raggiungere nuovi traguardi nel campo delle intelligenze artificiali. A seguito di un tragico attentato, in cui lo stesso professore resta avvelenato ed in fin di vita, i due suoi più stretti collaboratori, uno dei quali è la moglie, decidono di trasferire l’intero suo cervello, la memoria e la coscienza, in un computer. L’esperimento, mai tentato prima, se non su modelli animali, riesce alla perfezione e Will si ritrova a parlare alla moglie da uno schermo, interessato più che mai ad ampliare le proprie conoscenze. La grande corsa al sapere, unita alla reale possibilità di costruire la propria utopia, faranno perdere allo scienziato la bussola delle buone maniere spingendolo verso comportamenti non del tutto etici.
Transcendence è un blockbuster, su questo non ci sono dubbi. Bella fotografia, grandi attori, effetti digitali curatissimi, scenografie costose etc. I dubbi però ci sono se si mette da parte la bella scatola e ci si concentra, anche solo per un momento, anche solo per sbaglio, sul contenuto.
Tralasciando la verosimiglianza del contesto scientifico, la plausibilità è evidentemente passata di moda, l’intreccio e la caratterizzazione dei personaggi, tralasciando anche che dei terroristi colpevoli di aver ucciso degli innocenti non vengano considerati cattivi a priori, terroristi che alla fine possono addirittura dire ‘ve lo avevamo detto!’, davvero non si capisce cosa abbia disturbato i sonni dello sceneggiatore per condurlo a scrivere una storia di questo tipo.
Sebbene possa sembrare forzato approfondire la questione, quello che più infastidisce del film è il suo essere moraleggiante su questioni, anche interessanti, ma banalizzate all’inverosimile e trattate di conseguenza con sentimentalismo e illogicità.
Non è possibile, in un film come questo, dove viene raccontata e descritta una società tecnocratica, dove l’uomo e la scienza hanno raggiunto obiettivi inimmaginabili, ridurre per l’ennesima volta la riflessione morale a battute come “Che fine ha fatto Dio?”, “L’uomo superbo crea i suoi Dei” o ancora, la peggiore, “Allora l’anima dov’è?”. Sarebbe più plausibile vedere una società come questa interrogarsi sulle questioni etiche partendo dall’uomo, e non altrove.
Rimandare il tutto all’esistenza dell’anima non è solo superficiale, è anche irritante. Come se ammettere l’esistenza di un’anima fosse l’unico modo per immaginare un uomo in grado di vivere secondo giusti principi.
E la cosa veramente assurda è vedere come, in nome di un finale strappalacrime e consolatorio, si arrivi al paradosso di mostrare che anche le macchine possono vantare un briciolo di annebbiata coscienza. Quindi dobbiamo concludere che: o le macchine hanno un’anima, e allora dovremmo rivedere secoli di filosofie etiche e morali, oppure è vero il fatto che se riuscissimo a riprodurre perfettamente tutti i segnali elettrici e chimici del cervello umano potremmo a ricrearne non solo il pensiero e le connessioni logiche, ma anche la coscienza, dovendo quindi ammettere che nessuna anima è mai esistita. E allora?
Allora era meglio, fin da subito, non sollevare nessuno di questi temi, rinunciare ad avvicinare la fantascienza d’autore e accontentarsi di mettere in scena un thriller senza pretese.

 



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