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Visti per Voi » Caos Calmo  
Fermarsi ad ascoltare se stessi, come rimedio all’irreversibile della vita  

Caos Calmo – voto : 7++

Esiste un metodo scientifico esatto e infallibile per quantificare il dolore? Quale è il giusto modo di sentire la perdita di una persona a noi cara? Attraverso quali vie si può pervenire alla corretta elaborazione di un lutto?

Seguendo il filo delle impossibili risposte a queste domande, Antonello Grimaldi si immerge nel romanzo “ Caos Calmo” di Sandro Veronesi ( Bompiani 2005), per realizzarne un film dall’omonimo titolo, pellicola tra le più attese della stagione.

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Da questo elegante e profondo testo letterario, vincitore del Premio Strega nel 2006, il regista sardo estrapola un lavoro attento e prodotto con cura. Lo stesso Veronesi, ha apprezzato la semplicità con cui Grimaldi ha trasformato in pellicola le complesse riflessioni del suo protagonista, quel Pietro Paladini interpretato magistralmente da Nanni Moretti. Film e romanzo, raccontano di un uomo di mezza età, Pietro, affermato manager di una importante società, che un giorno mentre si trova in spiaggia insieme al fratello Carlo ( Alessandro Gassman ), diventa protagonista del salvataggio di una vita. Al loro rientro a casa, Pietro assapora quanto crudele possa risultare il destino, e apprende che negli stessi istanti in cui lui donava un domani alla vita di una donna ( Eleonora,Isabella Ferrari ), si era infranta l’esistenza della moglie Laura.

La sconvolgente tragedia genera in Pietro il bisogno di fermarsi, di sospendere ogni attività. Si distacca dal lavoro, dalle amicizie, dagli affetti degli altri famigliari, per prestare attenzione e cura solo alla figlia Claudia. Dinanzi allo sconcerto e alle preoccupazioni di tutti, ogni giorno dopo aver accompagnato a scuola la bambina, rimane ad attenderne l’uscita nel parco antistante l’istituto. Con estrema naturalezza trova questa scelta come l’unica possibile.

Ognuna delle altre azioni che riempivano le sue giornate, tasselli della routine per milioni di noi, divengono insignificanti e prive di interesse. Il suo sarà un allontanamento quasi inconsapevole, senza tracce depressive, un istintivo richiamo dell’intimo umano a interrompere il proprio moto, per meglio osservare e ascoltare il “ Caos “ emotivo che si scatena al proprio interno. Un gesto che contribuirà ad avvolgere Claudia, in un invisibile, caldo, confortante mantello d’amore, per proteggerla dalle gelide raffiche del dolore per una mamma perduta.

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I pensieri sono confusi, combattuti tra i ricordi del passato e l’esame di quel che era il presente del suo matrimonio. Cresce il turbamento di un uomo che fatica a sentire la viva lama del dolore per la perdita della sua compagna, penetrargli nell’anima. Nell’attesa di una disperazione che fatica a svelarsi, si accorge lentamente di come il suo fermarsi divenga un polo di attrazione per tutti coloro che in affanno, proseguono la loro corsa. Quel piccolo polmone verde dinanzi alla scuola di Claudia, si trasforma in un luogo di incontri e confidenze dove amici, parenti e colleghi, cercano Pietro per sfogare le loro ansie, incertezze, paure. Una panchina si trasforma nel centro di un microcosmo dove la semplicità dei piccoli gesti si riappropria di un valore sincero. Un ambiente tranquillo, sereno, rassicurato dalla sua routine imperturbabile, dove il “ Caos “ sembra davvero potersi calmare. Trattasi di una pace solo apparente, perché i rigurgiti del dolore, riaffiorano silenti ma presenti.

Antonello Grimaldi affronta un tema delicato e a volte spinoso quale è l’elaborazione del lutto. Egli la definisce “ una resa dei conti con se stessi e con la vita”. Prosegue affermando che si può affrontare il dolore “ affossandolo, o attendendo il suo arrivo, per poi cercare una guarigione”.

Ritengo che in ogni caso si tratti di un percorso privato, individuale e soggettivo per sua natura, quindi non giudicabile da parte di nessuno. Un film che pone l’accento sul bisogno di fermarsi per guardare negli occhi se stessi e gli altri. Un messaggio retorico per alcuni forse, ma decisamente inascoltato per tanti. Il protagonista di Grimaldi, si ritrova al centro della vita di chi lo circonda, proprio quando nel tentativo di isolarsi respinge carriera, denaro e l’ambizione mossa dalla fame di potere. Una scelta che diviene motivo di distinguo e istintivo richiamo per la fiducia altrui.

I trascorsi artistici del regista, lo hanno visto raccogliere sino ad oggi maggiori soddisfazioni dalle serie televisive ( Distretto di Polizia ), più che sul grande schermo, ma questo suo lavoro potrebbe aprire nuovi scenari futuri.

La pellicola, in concorso all’ultimo festival di Berlino, non ha conquistato nessun riconoscimento dalla giuria. La critica berlinese ha riservato al film grandi apprezzamenti ma anche robuste disapprovazioni, arrivando ad affermare come “ Caos Calmo “, fosse un esempio della incapacità cronica degli italiani nel saper produrre cinema di qualità. In Italia hanno prevalso i giudizi positivi, anche se la regia di Grimaldi ha per alcuni rischiato di essere troppo piatta e inconsistente. Personalmente considero il suo lavoro di buona qualità, in grado di alternare sorrisi sinceri a toccanti passaggi.

Da segnalare, l’ennesimo omaggio negato al silenzio di cui si è resa protagonista la Conferenza Episcopale Italiana. “ Caos Calmo” è stato attaccato per la oramai celebre scena di sesso tra Nanni Moretti e Isabella Ferrari. Anche se per audacia e durata, la sequenza si eleva un minimo dai generis dello standard cinematografico italiano, l’eccessivo clamore è forse dovuto più alla celebrità degli attori che la interpretano. Una scena artisticamente riuscita non benissimo, e pur comprendendone il significato quale rabbiosa rivalsa della vita sulla morte, la sua incastonatura nel racconto cinematografico lascia parecchio a desiderare.


Nessuna stonatura a riguardo del coro di consensi strappati dalla interpretazione di Nanni Moretti. L’attore nativo di Brunico, a giudizio di chi ha letto il romanzo, è entrato in perfetta sintonia con gli stati emotivi del personaggio letterario. L’opinione di chi come noi non ha letto il racconto, rimane ancorata ad una performance ottima, in grado di trasmettere al pubblico quel bisogno di isolamento istintivo, vissuto in una sorta di leggera sospensione dagli eventi che la vita reale continuava a proporre. Una forma di reazione che colpisce e induce alla riflessione. Non sono isolati i sospetti di chi riteneva Moretti candidato alla parte, sin dalla stesura del romanzo: il suo nome compare tra le persone che Veronesi ringrazia al termine del suo libro. Aldilà di ogni illazione, non vi è un istante in tutto il film in cui si può immaginare un attore più adatto di lui per quel ruolo.

L’illustre cast del film ( onorato da una breve comparsa anche di Roman Polanski ), non tradisce le attese. Dosato con giusto equilibrio e in grado di toccare il cuore dello spettatore, il triangolo padre, figlia, zio. Nell’istintivo amore verso la piccola Claudia, è racchiusa l’essenza di tutto il racconto. Bravo Alessandro Gassman, capace di dare vita anche ad un riuscito, credibile e sincero rapporto del suo Carlo con il fratello Pietro. Perfetta Valeria Golino ( Marta, sorella di Laura), nell’instabile, fragile, angosciata figura di una donna capace di alternare fulminanti verità, a teneri effusioni. Meno in evidenza ma ugualmente convincente, l’interpretazione di Isabella Ferrari: Eleonora ha il volto di colei che misteriosa e indecifrabile come il destino, entra in collisione con la vita di Pietro, per lasciarne un segno indelebile. Silvio Orlando è Samuele, l’unico tra i colleghi angosciati dalla temuta fusione societaria, che prova sincera ammirazione per la scelta di Pietro. La sua prova non fa che confermare un talento indiscusso, unito ad una grande professionalità nel dare anima e colore anche ad un ruolo secondario. Grimaldi ha saputo esaltare i suoi attori e nel quadro complessivo, ogni piccola interpretazione fornisce il suo contributo.

Nanni Moretti torna ad affrontare il tema dell’elaborazione del lutto, incarnandone una nuova sfumatura, molto diversa da quella narrata nell’opera che rimane il suo capolavoro artistico: “ La stanza del figlio “ ( 2001, Palma d’Oro al festival di Cannes). L’allora regista e attore Moretti, diede vita ad una pellicola emozionante ma priva di vittimismo, dove il dramma per la perdita di un figlio, generava divisione e lacerazione tra i familiari, per il diverso modo di elaborare il dolore. Il Moretti diretto da Grimaldi, interpreta una via che unisce, protegge e salda gli affetti, ponendoli al riparo dai devastanti effetti della rabbia, del rimpianto e della disperata ricerca di un perché.

Al di sopra di ogni elemento che ci circonda, vi sono le regole universali imposte dal destino e dalla inevitabilità delle sue sentenze. La vita con le sue “ situazioni irreversibili “, ci può colpire all’improvviso e quando non è solo della nostra anima di cui dobbiamo avere cura, capire quale sia la scelta giusta risulta ancora più difficile. Se coinvolti vi sono anche dei bambini poi, non dobbiamo scordare quanto essi assorbano in qualunque situazione ogni ansia noi sentiamo nell’intimo, e ingannarli alla distanza risulta impossibile. La via sentita e illustrata da Pietro può apparire come figlia di un sogno, lontana e irrealizzabile per le persone comuni, e stride con una realtà densa di episodi che offrono esempi ben diversi. Il nostro tempo riserva un mesto panorama di matrice adulta, dove l’infanzia finisce non di rado vittima invece che tutelata. Anche senza essere bravi come Pietro, basterebbe osservare e carpire ai bambini i loro tesori inestimabili.

Solo nei bimbi sopravvive la magia di fondere in una entità sola, la mente, il cuore e il sentire delle cose, e forse è nella loro semplicità, che trova spazio il giusto rimedio alle pene dell’irreversibile anche per noi adulti.

Quando in preda al dolore la mente pulsa, il cuore impazza, il caos imperversa, si può tentare semplicemente di rallentare la corsa nel vuoto, respirare e curare se stessi.

Se riusciremo anche solo un attimo a fermarci, per ascoltare e ascoltarci, avvicinandosi come fanno i bimbi ad un unico modo di pensare e sentire noi stessi, forse non arriveremo a trasformare in palindromo l’irreversibile, ma doneremo un appiglio più saldo anche a chi come loro in noi, cerca un riparo.

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