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Visti per Voi » Non è un paese per vecchi  
Una violenza dilagante e cieca, non risparmia i vulnerabili

Non è un paese per vecchi – voto: 7/8

I fratelli Joel e Ethan Coen, rappresentano da molti anni un riferimento preciso per chi nel cinema ricerca una creativa originalità, fusa ad una sapiente provocazione. Il loro stile è divenuto un vero e proprio marchio di fabbrica, capace di sfuggire alle convenzionali etichette con cui si tenta di classificare ogni pellicola. Rientrano tra quella ristretta cerchia di autori, in grado di elevare ad arte una produzione cinematografica, e ogni spettatore che sceglie un loro lavoro, ha la garanzia di assistere ad un qualcosa che difficilmente lo lascerà indifferente. I film dei fratelli di Minneapolis ( Minnesota, Usa ), potranno entusiasmare o lasciare interdetti, colpire a fondo o in superficie, ma sarà improbabile non ricordare almeno una sequenza o un dettaglio, o rimanere catturati da uno dei tanti personaggi che arricchiscono la lunga galleria dei loro protagonisti.

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L’ ultima fatica ha il titolo di “ Non è un paese per vecchi “, e pur rientrando nei lavori classicamente “ Coeniani “ e quindi poco orientati nella ricerca di un facile consenso, è riuscita nell’impresa di conquistare la giuria degli Oscar hollywoodiani aggiudicandosi ben 4 statuette: regia, film, sceneggiatura non originale e attore non protagonista ( Javier Bardem ). Un successo per nulla sorprendente, tale era la scia degli elogi che aveva accompagnato il lavoro, sin dalla sua presentazione allo scorso Festival di Cannes nel maggio 2007, manifestazione dove i Coen hanno trionfato ben tre volte in passato.

Ethan e Joel Coen riescono finalmente a fregiarsi degli oscar per film e regia, premi che avevano sin d’ora solo sfiorato in occasione di importanti lavori che hanno spaziato dai thriller alle commedie. Un lungo elenco che vede opere quali “ Barton Fink “ ( 1991, prima Palma d’Oro a Cannes ), “ Fargo “ ( 1996, oscar come migliore attrice a Frances McCdormand moglie di Joel e seconda Palma d’Oro ), “ Il grande Lebowski “ ( 1998, con Jeff Bridges e John Turturro ), “ Fratello dove sei ? “ ( 2000, ancora con John Turturro e George Clooney ), “ L’uomo che non c’era “ ( 2001, terza Palma d’Oro in Costa Azzurra ).

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Il film oscar del 2008, è la trascrizione cinematografica dell’omonimo romanzo dello scrittore americano già premio Pulitzer, Cormac McCarthy ( Einaudi, 2006 ). Sono gli anni ’80 e al confine tra Texas e Messico Llewelyn Moss ( Josh Brolin ), reduce del Vietnam con la passione della caccia alle antilopi nelle sconfinate praterie lungo il Rio Grande, si ritrova sulla scena di un recente e sanguinoso scontro a fuoco tra narcotrafficanti. Tra cadaveri di uomini e animali, incontra l’unico superstite che agonizzante chiede acqua, ma soprattutto recupera una valigetta con 2 milioni di dollari in contanti. Llewelyn non esita ad appropriarsi del denaro, ma dopo alcune ore compie una azione irrazionale che segnerà il suo futuro, tornando in piena notte sul luogo della sparatoria per portare soccorso ad un uomo la cui fine era già segnata.

Ricomparendo sulla scena del crimine, diverrà la preda di tutti coloro che già inseguivano la valigetta con il suo prezioso contenuto. Dietro all’uomo in fuga costretto ad abbandonare casa e moglie, si lanceranno boss malavitosi americani e messicani, nonché i killer da questi assoldati. Tra tutti i cacciatori si distingue Anton Chigurth ( Javier Bardem ), uno spietato sterminatore psicopatico, che lascerà dietro di sé una interminabile scia di sangue spesso innocente. La polizia ha il volto dello sceriffo Bell ( Tommy Lee Jones ), un anziano uomo di legge ad un passo dalla pensione, che nauseato e sconvolto da tanta violenza, cerca di porre un argine al dilagare di una follia contagiosa e virulenta. Il lungo inseguimento reciproco tra i tre protagonisti, condurrà ad un finale in perfetta linea con i canoni dei maestri Coen.

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“Non è un paese per vecchi” è una pellicola artisticamente di grande valore, dove il genio degli autori trova conferma nella cura dei dettagli. Questo thriller poliziesco dall’intenso profumo di western, racchiude molto di quanto ha reso celebri negli anni i fratelli Coen: ambientazioni suggestive, sequenze geniali , personaggi memorabili. L’adattamento on the road in linea con il romanzo, collocato nel suggestivo e desolato sud degli Stati Uniti, tra sconfinate e desertiche praterie, acuisce il senso di solitudine in cui si muovono protagonisti e comprimari. La sceneggiatura sembra adeguarsi al ritmo compassato della vita in queste regioni, dove il tempo trascorrere lento, ma i Coen montano con sapienza l’atmosfera di un thriller che pur a passo lento, cattura lo spettatore senza concedergli cali di tensione.

Le interpretazioni sono perfette, e la galleria d’autore di Joel e Ethan si arricchisce di nuovi volti che entrano nella storia del loro cinema ma non solo. Il terminator umano Chigurth, premiato meritatamente con l’oscar a Bardem, con la sua incredibile acconciatura da paggetto, la voce monocorde tetra ma rassicurante come la promessa di morte che lo accompagna, lo sguardo folle e i suoi singolari strumenti di lavoro, incarna uno dei molteplici volti di quella degenerante e inarrestabile violenza che inonda una società allo sbando, priva di regole e valori. Un essere che per convenzione classificheremmo pazzo, sospinto da una sua logica inafferrabile che stabilisce precise e oscure leggi su chi merita una chance di vita o meno.

Uno degli animali che popolano una giungla figurata priva delle leggi della natura, dove in un selvaggio tutti contro tutti, a soccombere sono i più deboli e vulnerabili, i tanti che ancorati ad un mondo in estinzione nel quale sentimenti umani come solidarietà e amicizia era un perno su cui sorreggersi, si ritrovano come naufraghi che annaspano tra le onde senza appigli.

Come riferito dal titolo e illustrato dalla storia, tra tutte le fragilità esistenti, i Coen eleggono i “vecchi” quali vittime predestinate del degrado assoluto che travolge la società americana. Un paese che gli autori decretano alla deriva nella assenza del rispetto per i valori che gli anziani conservano e rappresentano, in omaggio a quel principio che sancisce una democrazia lontana dal potersi definire equa e progredita, quando non in grado di salvaguardare a 360° la propria memoria e i loro custodi.

L’ambientazione del film anteriore al presente di circa 20 anni sembra poi anticipare quanto oggi è evidente a tutti. Le politiche degli ultimi anni hanno relegato a marginale l’impegno verso il sociale e l’assistenza sanitaria, e sono state largamente e diffusamente compiacenti al facile fluire delle armi senza controlli, non ponendo freni alla loro caduta in mano a folli e violenti di ogni età. La cultura militare ha avuto il sopravvento e con essa la spesa pubblica in questo senso, contribuendo a generare una diffusa sensazione d’insicurezza, all’interno della quale la gente tende a portare all’estremo la soluzione di qualsiasi contenzioso e conflitto umano,interculturale o razziale. L’avidità regna sovrana, il desiderio di arricchimento calpesta ad ogni costo qualsiasi altro elemento, e per soddisfarlo si sacrifica ogni valore: un seme che si insidia nell’animo umano sin dalla giovane età.

A Josh Brolin il compito di portare in scena un esemplare di questa umanità. Il suo Llewelyn Moss, pare non esitare a intraprendere la via di chi per conservare una improvvisa fortuna, è disposto a rischiare ogni cosa, ma forse non è casuale che i Coen ci indichino come il background militare e armaiolo di questo uomo, celasse un dna pronto a calarsi in una realtà simile e solo momentaneamente rapito da una moglie ad una vita normale.

Quale esponente di una generazione in via di estinzione, si eleva lo sceriffo Bell, il cui sguardo sconcertato, smarrito e impotente, costituisce l’anima riflessiva del film. Al volto segnato dal tempo di Tommy Lee Jones è affidato questo bellissimo personaggio, che aggrappandosi all’esperienza, all’umanità e ad un lungo vissuto spalla a spalla con la violenza, cerca di trovare una chiave di lettura a questa marea di morte. Si sente responsabile quale anziano di questo mondo, di non aver trovato un modo per evitare una tale degenerazione, ma come gli indica un collega “ non può fermare quello che sta arrivando “. Nonostante questa consapevolezza, Bell è deciso ha rivendicare il diritto di restare in lizza fino alla fine, per non provare il rimorso di non aver tentato il possibile, fedele all’importanza che per quelli come lui ha ancora il valore della giustizia.

Il cinema che diviene arte trova in questo lavoro un esempio classico, ma l’arte può sfuggire per sua natura alla facile comprensione di tutti e questo può essere un limite, come limitato il nostro tentativo di interpretarla.

Il nostro tempo raccontato alla maniera dei fratelli Coen quindi, e di conseguenza percorrendo una via non banale e scontata. Un viaggio costellato di immagini forti, di eccessi, ma anche in grado di indurre a profonde riflessioni grazie ad un sorprendente finale. Una conclusione che può lasciare lo spettatore sospeso e interdetto, quasi che improvvisamente gli venisse nascosta la palla mentre assiste ad una partita di calcio.

Una via per gli autori, nell’ impegnarlo a spostare la sua attenzione altrove, magari sul volto dei giocatori per leggere il loro pensiero, o sulle tribune, su chi le affolla, sul cielo, sui fili d’erba del prato, tutti punti da sempre sotto il suo sguardo, ma dove forse non si sarebbero mai soffermati i suoi occhi.

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