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editoriale » Un nero alla casa bianca  
UN NERO ALLA CASA BIANCA
di Boris

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L’elezione di Obama a presidente degli Stati Uniti, chiude definitivamente la lunga attesa che in questi ultimi mesi ha condizionato non solo l’economia americana ma anche quella internazionale.
Un evento mediatico importante che in parte ha contribuito a distrarre il nostro popolo da quanto sta avvenendo nel nostro paese.
Anche se gli annunci programmatici della campagna elettorale teoricamente presagiscono un futuro più roseo, la realtà sarà ben differente.
Per la prima volta un uomo di colore è eletto alla casa bianca. E questo gioco di “colori” non è solo un’eufemismo ma una realtà. Non possiamo dimenticare che la schiavitù in america è stata abolita da solo duecento anni e che, di fatto, ancora oggi la segregazione sociale delle minoranze rimane a tutti gli effetti, una visibile realtà: le carceri americane sono stipate d'integrati afroamericani o latinos.
Obama se è arrivato sino a questo punto, non è solo per il sostegno delle classi povere di questo paese ma soprattutto grazie all’appoggio economico e politico della nuova classe emergente afroamericana. Una classe che quando è riuscita a piazzare i suoi uomini in punti chiavi del paese, non ha certamente assunto una posizione d’esempio per tutta la società americana. Nessun reale cambiamento ma continuità camuffata da amore per il prossimo e per i poveri di tutto il mondo a cui è stato negato la libertà.
Kofi Annan fu il primo a sfondare questo muro e la sua presidenza all’ONU non fu certamente la migliore. Non fece praticamente nulla di particolarmente importante per l’Africa e soprattutto si mosse in perfetta sintonia con gli interessi strategici e energetici Americani.
Per non parlare della Condoleeza Rice e Colin Power i “signori della guerra”. Impietosi ed intransigenti con chiunque osi porre in discussione la politica internazionale del loro paese. Pronti a mentire e a condannare a morte civili e “fratelli” dei ghetti di Harlem in guerre assurde come Iraq e Afghanistan.  Tornare a casa da quell’inferno non sarà una cosa facile, anche perché se decidesse nell’immediato di agire in tal senso, come potrebbe giustificare quelle giovani vittime americane, se non attraverso una solita stupida retorica avvolta in una bandiera a stelle e strisce?
Non parliamo poi delle sue future scelte riguardo al rapporto con l’Iraq.
C’è un altro problema che l’elezione di un presidente di colore potrà causare a livello internazionale e in Europa. In particolare in quella dell’est, dove la forte destra xenofoba, si sta sempre più scagliando contro i diversi e gli invasori. Un’ideologia emergente che rafforzata dalla crisi economica mondiale e dall’incapacità reale delle sinistre europee di far fronte alla progressiva povertà della sua popolazione, sta fomentando l’odio verso un sistema capitalista oppressore. Che pretende di comandare in Kossovo come in Serbia e nei paesi della ex cortina di ferro. Una politica anticapitalista, sociale e populista che spiazza il pensiero socialista e rilancia un’opposizione allo “Stato comandato da sionisti per bocca di un nero”.
Le dichiarazioni dei due possibili attentatori nazisti contro Obama, arrestati durante la campagna elettorale, ne sono un esempio. E anche nel nostro paese non siamo poi così lontani da questo pensiero. L’aggressione fascista avvenuta a Roma durante la manifestazione contro il decreto Gelmini; le dichiarazioni di Cossiga sulla opportunità di infiltrare poliziotti per provocare disordine per giustificare pestaggi dissennati di studenti disarmati; la trasmissione di Licio Gelli sul “valore dittatoriale” del nostro Berlusconi e ultimo, l’assalto rivendicato con minacce ai giornalisti della trasmissione “Chi l’ha visto?” non si colloca forse in questa direzione?
C’è solo una parte di questa società che può fermare tutto questo ed è quell'Europa e America che crede ancora nella democrazia e che non si lascia tentare da facili semplificazioni.
L’eredità della dinastia Busch è un ostacolo assai impervio da non poter essere facilmente superato con esternazioni populiste strappa lacrime o con una riscaldata miscela Kennediana condita con un po’ di carisma alla Martin Luther King.
Serve ben altro per rilanciare l’immagine degli Stati Uniti che vede il suo debito pubblico alle stelle, sorretto essenzialmente grazie agli investimenti della Repubblica Popolare Cinese e una valuta che non è ancora considerata carta straccia solo perché utilizzata come moneta unica per l’acquisto del petrolio.
Ad Obama quindi spetta dunque un compito difficile, speriamo ci riesca. Soprattutto per noi europei che ancora oggi ci ostiniamo a non voler camminare con le nostre forti gambe.



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