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Documenti di approfondimento » Berlino 09: effetto domino  

EFFETTO DOMINO
di Novara Flavio


Fu il 9 novembre 1989 il giorno del crollo. Il muro di Berlino da ormai ventotto anni tagliava in due la città più grigia d'Europa. Grigia come il cielo e il cemento di quella fortificazione eretta dagli uomini per dividere uomini. Per separare due mondi di uomini uguali, ma assai diversi tra loro.
Ricordo ancora in modo chiaro quando giunsi in quella città. Percorrevo in modo disinvolto ma attento la zona intorno a Potsdamer Platz a due passi dalla porta di Brandeburgo.
Un grande fermento ed euforia coinvolgeva costantemente le persone. Una fila continua di uomini e donne che con un sorriso, pazientemente attendevano in macchina o a piedi, il loro turno per oltrepassare quella breccia aperta verso un unico cielo. Grande speranza nei loro occhi.
Lo stesso entusiasmo di chi, dopo anni di segregazione, poteva finalmente provare a pensare liberamente ad un nuovo modo di vivere. Un nuovo modo di vedere il futuro. Sul loro viso, il riflesso colorato e vivo dei murales incisi sul muro, che coprivano e rallegravano da tempo il lato ovest della città. Un manto di colore che non voleva coprire o volutamente nascondere questa dolorosa frattura, ma provava ad accettarla e a renderla meno appariscente. Una sorta di Tatzebao dove tutti, dagli studenti stranieri ai punk bestia, provavano ad esprimere a colpi di pennello, il loro disprezzo, la loro protesta, il loro amore verso tutti o nessuno.
Ad un lato della breccia, su un marciapiede poco distante da un grande centro commerciale per apparecchiature elettriche ed elettroniche, dinnanzi a una grande roulotte, vecchi e giovani formavano un altra interminabile fila. Una grande scritta li sovrastava: Bundesbank. Un'immagine quasi in bianco e nero che tanto ricordava la stesa fila vista nei filmati propagandistici anti sovietici distribuiti gratuitamente su varie tv occidentali o pubblicati su riviste pseudo-democratiche e filo americane. L'azione era però assai diversa: una volta cambiato i pochi marchi rimasti o segretamente risparmiati in nuova valuta locale, si precipitavano in questo grande magazzino dove li attendevano vani interi arredati da televisori e HI-FI di ogni genere. Una spasmodica voglia di nuovo e di tutto quello che da tempo era definito “superficiale ed inutile”. Scatoloni legati sui portapacchi della macchina o trascinati a braccia da giovani coppie felici. Una corsa senza fiato verso il tanto desiderato e obbligatoriamente considerato “superfluo”.
Oggi, dopo venti lunghi anni, la città riunificata è molto cambiata. La modernità targata globalizzazione ha inglobato quasi tutta la storia di questa città ricostruita in fretta, sia ad est come ad ovest, dopo la sua totale distruzione durante la seconda guerra mondiale. Sono scomparsi non solo i simboli della vecchia Germania comunista  ma anche quei sorrisi tanto accesi di speranza. Anche la vecchia bandiera stracciata in due nel cui cuore fu strappato il simbolo della DDR, non sventola più sulla porta di Brandeburgo e non importa da che parte della città tu provenga, il malcontento li accomuna entrambi.
Ad Ovest, a causa di una crisi economica che sempre più sembra accentuare e scaricare sulle classi meno abbienti, il costo della ricostruzione e della parificazione economica dei“fratelli poveri”; ad Est perché nonostante questo sforzo, la distanza tra quello che il capitalismo prometteva e quello che nella realtà avrebbe dovuto regalare, è ancora assai lontana.
Oggi si è frantumato, soprattuto per chi quel giorno varcò quel forzato confine, il sogno di un mondo migliore. Un luogo dove credevano la libertà fosse un diritto è non un'opportunità da pagare con la rinuncia dei loro basilari diritti. Non più scuola, casa ed assistenza sanitaria degna di essere chiamata tale ma sacrificio e rassegnazione. Quella che chiedono i nuovi padroni dell'ovest che per una manciata di marchi, si sono comprati le loro vecchie fabbriche. Lo stesso atteggiamento, se non uguale, richiesto dal funzionario di partito di un tempo, che imponeva la tessera o la fedeltà convinta al “compagno supremo”.
Nei salotti politico-economici della democratica Europa, si dice che, il crollo del muro, provocò la disintegrazione dell'impero ex URSS. Credo invece che considerando, come nell'antico gioco del Domino, come pedine innalzate l'effige di questi paesi, la spinta iniziale sia stata, come per l'antico impero Romano, l'elezione a papa di Karl Wojtyla e la contemporanea nascita e dominio del sindacato Solidarnosc in Polonia. Una caduta di giganti pedine, che passando attraverso la distruzione della Romania e della Repubblica Jugoslavia, non si è ancora conclusa e forse comincia  a dirigersi proprio verso di noi.

9 novembre 2009
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