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Medio Oriente » Cambia il volto del Medio Oriente  

CAMBIA IL VOLTO DEL MEDIO ORIENTE:

HOSNI MUBARAK SI E' DIMESSO

di Cinzia Nachira

L’immensa mobilitazione di massa che dal 25 gennaio ha visto milioni di persone protagoniste in Egitto, oggi 11 febbraio 2011, vive un passaggio cruciale.

Hosni Mubarak, dittatore dall’ottobre 1981, è stato costretto alle dimissioni e ad abbandonare Il Cairo alla volta di Sharm El Sheik, da dove è possibile che abbandoni il Paese.
Giustamente le centinaia di migliaia di persone assembrate in  queste ore frenetiche in Piazza al-Tahrir (Liberazione) festeggiano il raggiungimento di un obiettivo prioritario.

Ora, però, la situazione resta molto fluida. Il potere effettivo in queste ore è stato assegnato da Suleiman, vice presidente della Repubblica (nominato dallo stesso Mubarak nel vano tentativo di far rientrare le proteste nei giorni scorsi), al maresciallo Al-Tantawi, capo del Consiglio Militare Supremo dell’esercito egiziano.
Il ruolo ambiguo dell’esercito è proprio l’elemento che rende la situazione molto pericolosa. Nel pomeriggio di oggi (11 febbraio) il comunicato n° 2 dell’esercito annunciava di farsi garante delle modifiche costituzionali annunciate ieri sera dallo stesso Mubarak e della revoca dello stato di emergenza, in vigore dal 1981. Quest’ultima promessa a condizione che la gente torni a casa e a lavorare. Di fatto tra il 10 e l’11 febbraio  la posizione dell’esercito egiziano era di sostegno al dittatore.
In questi 18 giorni l’esercito non ha avuto un ruolo repressivo almeno per due motivi: l’apparato militare non poteva avere la certezza che i soldati fossero disponibili a sparare sulla folla; in Egitto l’esercito è «popolare» nel senso che in ogni famiglia c’è almeno un soldato. È questo è ciò che spiega le scene di fraternizzazione tra le truppe spiegate sul terreno e la folla di Piazza al-Tahrir.
Ciò che ha spinto lo stesso Stato Maggiore alla decisione di dimissionare Mubarak è stata da un lato la determinazione del popolo egiziano in mobilitazione permanente, ma anche l’irritazione degli Stati Uniti e della UE, che fin dai primi giorni della rivolta hanno puntato ad una transizione «ordinata», in altri termini che garantisse comunque la loro posizione in Medio Oriente. Questa garanzia era oramai chiaro a chiunque passava attraverso l’abbandono del potere da parte di Mubarak.
La grande euforia che in queste ore attraversando tutto l’Egitto e altri Paesi dell’area mediorientale, dalla Tunisia alla Striscia di Gaza, è del tutto comprensibile e condivisibile. Ma è altrettanto chiaro un elemento cruciale: le rivendicazioni della popolazione egiziana sono molte: l’aumento dei salari, un’assemblea costituente, la richiesta di processare Mubarak e il suo apparato – che ora ha preso il potere – per i crimini commessi contro il popolo e non da ultima la restituzione del tesoro accumulato in questi decenni dalla famiglia Mubarak, calcolato in circa 70 miliardi di dollari (circa 51 mld euro).
Gli eventi che stanno attraversando l’Egitto probabilmente rafforzeranno il vento di rivolta che a partire dal dicembre 2010 sta attraversando il Magherb e il Medioriente, dall’Algeria allo Yemen, passando per la Giordania e la Cisgiordania e Gaza.
Nessuno può prevedere lo sviluppo degli eventi ed è questo che ci suggerisce la prudenza: il rispetto profondo di quei milioni di persone che ora in tutto il Medioriente si attendono che i loro immensi sforzi siano coronati da una democrazia vera.

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