AFGHANISTAN: IL CASO “ EMERGENCY”
di
Mirca Garuti
Rahmattullah
Hanefi: Libero!
L’autorità
giudiziaria afgana decreta, finalmente, la chiusura del procedimento
in corso, nei confronti del responsabile della sicurezza
dell’ospedale di Lashkar gah, Hanefi. Al momento però è
ancora piantonato nell’ospedale del carcere, si attende quindi la
notizia della sua effettiva liberazione. Comunque l’annuncio,
subito rimbalzato nella mattinata di sabato 16 giugno, ha colto di
sorpresa quasi tutti. Si aspettava infatti di sapere quali potevano
essere i capi d’accusa che i servizi segreti afgani gli volevano
attribuire. L’angoscia, per la sua sorte, era molto alta,
soprattutto per il suo stato di salute, molto precario. Le notizie
infatti che giungevano dall’Afghanistan, erano drammatiche: era in
pericolo di vita. Hanefi era stato accompagnato in ospedale, dove i
medici avevano riscontrato che, il suo unico rene era molto
compromesso e quindi, aveva bisogno di cure urgenti. Era stato però
deciso ugualmente di riportarlo in carcere, in cella di isolamento.
Reazione da parte del governo italiano? Quasi niente. Anche da un
punto di vista legale, la situazione non era confortante. Al suo
avvocato, infatti, era stato negato l’accesso al suo fascicolo
processuale.
Ora
lo sguardo è rivolto a capire se ci possano essere le
condizioni per un ritorno in Afghanistan, da parte di Emergency. Ci
sono ancora troppe domande da fare e tante risposte da ricevere,
prima di poter riprendere il cammino interrotto. Quale ruolo ha
avuto, per esempio, il governo afgano, in tutta questa vicenda? E il
governo italiano? Chi, in realtà, si voleva colpire? E perché?
Non
si può però, nonostante la notizia della liberazione,
dimenticare la sofferenza di un uomo, tenuto illegalmente in carcere,
dal 20 marzo scorso, senza nessuna formale accusa e senza la
possibilità di una minima difesa. Il quotidiano “Il
Giornale” il sette giugno ha pubblicato tutte le probabili accuse
che la magistratura afgana sembrava dovesse attribuire ad Hanefi.
Accuse pesanti, quali il suo coinvolgimento nel rapimento di
Mastrogiacomo, riportando anche la testimonianza diretta del
fratello di Adjmal, il giornalista afgano decapitato dai talebani. Il
responsabile dei servizi segreti afgani infine, aveva rivelato che
nella sua casa erano stati trovate mine e giubbotti esplosivi
utilizzati dai terroristi kamikaze. Il giornalista italiano Daniele
Mastrogiacomo, intervistato da PeaceReporter, ha invece
smentito tutte queste accuse.
Hanefi
ora è libero, ma non può finire così,
semplicemente con un sospiro di sollievo, quello che è
successo è un fatto grave, e c’è quindi la necessità
di un chiarimento. Il governo italiano dovrebbe rivolgersi con
determinatezza a Karzai, pretendere delle risposte. Che senso ha
continuare la farsa della prossima Conferenza sulla giustizia a Roma
il tre di luglio con il governo afgano, dopo questo comportamento?
L’Italia, non dimentichiamoci, ha finanziato con cinquanta milioni
di euro questo sistema giudiziario ed ha invece abbandonato chi, alla
fine, ha aiutato lo stesso governo italiano.
“ Apprendiamo
in questo istante che finalmente Rahmatullah Hanefi, oggi 19/06 ore
16,00 locali, è uscito dal portone del carcere. E’ di nuovo
un uomo libero. “
Il rapimento di Daniele Mastrogiacomo
Emergency,
dal 05 marzo u.s., giorno del rapimento di Daniele Mastrogiacomo, ha
cercato di fare sentire la sua voce, di farsi conoscere meglio,
specialmente dalla gente comune. L’otto maggio scorso, infatti il
gruppo di Modena ha presentato, alla Tenda di Viale Molza, una
serata dedicata al diritto di essere donna in Afghanistan, senza
trascurare di parlare della situazione attuale. Emergency, quindi ha
voluto semplicemente raccontarsi, perché è il solo
modo per poter arrivare al cuore della gente, per scuotere
l’indifferenza e favorire una vera informazione. Il senso
d’impotenza, di fronte a quanto stava succedendo negli ultimi mesi,
era molto grande. Come grande è stata l’amarezza nel dover
prendere atto della mancanza di una decisa presa di posizione da
parte del governo italiano. Il ministro degli esteri D’Alema,
durante il sequestro di Mastrogiacomo, telefonava ad Emergency, per
avere notizie, circa ogni due ore. Liberato infine il giornalista,
D’Alema si è dissolto, lasciando quindi l’organizzazione
umanitaria da sola ad affrontare la situazione. Il 25 aprile scorso,
la polizia afgana si presenta all’ospedale di Kabul, dove si
trovavano ancora cinque membri dello staff internazionale per
concludere le ultime pratiche amministrative. Gli agenti chiedono,
anzi pretendono, la consegna dei loro passaporti, senza nessuna
spiegazione. La richiesta viene naturalmente rifiutata. Questo
episodio, per il quale il nostro governo non ha speso una parola, è,
per Emergency, una ulteriore conferma dell’ostilità delle
autorità governative verso l’Ong italiana. Gino Strada il 26
aprile dichiara a Peacereporter “ Da oltre un mese il
governo Karzai ha fatto di tutto per espellere Emergency
dall’Afghanistan, arrestando il nostro personale, accusandoci di
sostenere i terroristi ed indicandoci, quindi, come un nemico, infine
mandando la polizia nei nostri ospedali. “
L’isolamento di Emergency
L’Ong
italiana è stata veramente aiutata solo dall’ambasciatore
italiano Ettore Francesco Sequi, che tutti giorni, sollecitava
un’incontro con il presidente Karzai e con il direttore dei servizi
segreti afgani Amrullah Saleh, per avere notizie di Rahmatullah
Hanefi, senza mai ottenere una risposta affermativa. IL 07 maggio il
ministro della Difesa italiano Arturo Parisi ha avuto un’incontro,
a porte chiuse, con il presidente Karzai. In quell’occasione fu
chiesta la formalizzazione dei capi d’imputazione per Rahmatullah
Hanefi. Il presidente afgano promise che, entro due settimane, Hanefi
sarebbe stato sottoposto a giudizio e rese pubbliche le accuse a lui
rivolte. Una cosa che l’Ong italiana ha voluto fortemente
sottolineare, è che, in quel momento, stava subendo un’altra
aggressione da parte del governo afgano: la requisizione dei loro
ospedali. Le autorità afgane, infatti, si erano già
impossessate delle strutture costruite da Emergency, destinate al
popolo afgano, per poi decidere, a chi poter affidare, in un secondo
tempo, la loro gestione. Le regole, i principii, su cui si è
sempre basata l’Ong, difficilmente, in questo modo, potranno essere
mantenute.
Emergency e i suoi principi
Le
condizioni di base di Emergency sono tre: la qualità del
servizio sanitario, la sua totale gratuità e la sua totale
disponibilità per chiunque lo richieda senza nessuna
distinzione. Il rischio è quello che, probabilmente, ora,
verranno curati solo “gli amici” , mentre “i nemici” verranno
abbandonati a loro stessi. Se è una verità che “tutti
gli uomini nascono liberi e uguali di dignità e di diritti”
, è altrettanto vero che i diversi luoghi di nascita e le
diverse condizioni economiche, determinano poi le tante diversità
che sono sotto gli occhi di tutti. La missione di Emergency è
proprio quella di cercare di colmare questo enorme “buco”
portando, in quei luoghi, la più alta qualità possibile
e la gratuità delle cure sanitarie.
Gli
ospedali di Emergency sono realizzati tenendo conto di tutte le
particolarità e le esigenze del luogo in cui si trovano. Sono
attrezzati con macchinari e strumenti all’avanguardia. Sono belli,
proprio perché si tenta di offrire a chi ne ha bisogno, almeno
un luogo degno a persone umane. C’è sempre un giardino, dove
è possibile far giocare i bambini e dove semplicemente si può
passeggiare, cercando forse di dimenticare un po’ le proprie tristi
condizioni. Ci sono zone dove le donne possono dedicarsi alle loro
attività di lavoro, oppure zone di studio, per i bambini. Il
rispetto per le diverse culture è un altro criterio sostenuto
dalla Ong italiana. Fondamentale è anche formare il personale
locale, offrendo così anche opportunità di lavoro.
Le donne afgane
L’impegno
di Emergency in Afghanistan dal 1999 è stato e, speriamo lo
possa ancora essere, rivolto molto alle donne. La situazione
femminile è molto pesante e, lontano dai grossi centri
abitati, nulla è cambiato. Le donne non appartengono a loro
stesse ma al padre. Nella vita quotidiana vengono controllate dal
fratello maggiore. Il matrimonio è un passaggio di proprietà.
La donna sposata, all’interno della casa, deve sottostare alla
volontà della madre del marito. E’ la suocera che dà
ordini alla nuora, che dirige la casa e che si occupa dell’educazione
dei nipoti. Solo la vecchiaia offre alla donna un po’ di potere, ma
sempre all’interno dell’ambito domestico. Le donne non hanno
assistenza. Non decidono nulla, non possono scegliere nemmeno il nome
del proprio bambino. E’ sempre la famiglia che sceglie, anche in
caso di necessità di interventi chirurgici. La donna non può
decidere della sua vita. Emergency quindi con molta pazienza e con il
rispetto per questa cultura, ha sempre cercato, passo dopo passo, di
aiutarle. Le donne che arrivano all’ospedale indossando il burqa
tradizionale, possono toglierlo, in una sala predisposta, e farsi
visitare tenendo solo un semplice velo. Rimettono il burqa unicamente
all’uscita dell’ospedale. Questo sembra a molti poca cosa, invece
è una conquista importante, che è stata possibile solo
per la fiducia verso gli operatori di Emergency. Esiste in
Afghanistan una percentuale molto alta di violenze, di stupri, ma
tutto è avvolto nel più totale silenzio. La donna
afgana è molto riservata, timida, ma è sufficiente un
sorriso per farla sentire tranquilla e sicura. Prima di tutto questo
grandissimo caos, il ministero della sanità afgana, d’accordo
con Emergency, aveva dato la possibilità alle allieve
ostetriche di fare pratica all’interno dell’ospedale stesso,
potendo così, conseguire alla fine del tirocinio, un diploma.
Ora
tutto questo lavoro si è dissolto, non esiste più, ma
il nostro governo cosa ha fatto?
L’Italia
è presente sul territorio afgano, ma con l’esercito! Fa
parte delle forze multinazionali e la sua missione, quindi, non è
possibile ancora definirla “di pace”.
Hanefi
ora è stato liberato e prosciolto da ogni accusa e questo
potrebbe essere la speranza di un ritorno di Emergency in Afghanistan
per continuare il suo lavoro.