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Un mondo libero privo di regole In questo mondo libero… - voto : 7 Una
delle definizioni che la stampa internazionale ha dedicato alla figura
di Ken Loach è stata quella di “Regista necessario”. Un
termine che assume i contorni di una onorificenza tesa ad omaggiare la
carriera di uno dei registi più graffianti del cinema mondiale.Ci
siamo soffermati più volte su queste pagine di quanto il cinema possa
divenire uno strumento di narrazione e di condanna, di come sia in
grado di valicare le frontiere del semplice intrattenimento. Loach
ha fatto del suo cinema un impegno sociale nel senso più vero. Le sue
storie, i suoi personaggi, vivono e raccontano di un mondo per tutti
imperfetto, difficile, dove le regole degli uomini generano ingiustizie
e dolore, ma sono anche trame che a prescindere dal tempo e dal luogo,
manifestano un forte bisogno di speranza. A
combattuto le dittature ( “Terra e Libertà” 1995 e “La canzone di
Carla” 1996), il sistema politico di casa ( “My name is Joe” 1997), la
burocrazia del welfare ( “Ladybird Ladybird “1994 ); si è schierato al
fianco dei clandestini messicani che attraversano il confine per
lavorare negli Usa ( “Bread and Roses” 2000 ), dei disoccupati di
Shieffeld ( “Paul, Mick e gli altri” 2001 ), degli adolescenti
britannici ( “Sweet Sixteen 2002).Si
definisce un innamorato del suo paese, animato da quel genere di
patriottismo che lo ha reso incapace di chiudere gli occhi davanti alle
sue pecche, ed è anche per questo che la sua patria non lo ripaga dello
stesso amore. Lo
scorso anno vinse a Cannes la Palma D’Oro per “Il vento che accarezza
l’erba”, un film durissimo e passionale sulle lacerazioni e gli orrori
della guerra d’indipendenza d’Irlanda. Il
71enne regista di Nuneaton ( Gran Bretagna ), diviene necessario perché
la sua denuncia è un veicolo per trasmettere al mondo il suo fermo
intento a non arrendersi al bisogno di mutare lo stato delle cose: non
si deve rimanere immobili davanti a ciò che si ritiene non giusto.La
sua ultima creatura Angie ( Kierston Wareing ), protagonista di “In
questo mondo libero…”, è una donna che intende combattere in un mondo
di uomini e ne assimila con il tempo le sfumature più negative. A
seguito del suo rifiuto nel sottostare a episodi di molestie sessuali
da parte dei suoi superiori, viene licenziata dalla sua azienda,
un’agenzia di Londra che operava nel reclutamento di mano d’opera
all’estero, specie nell’est d’Europa. Furente di rabbia per
l’ingiustizia subita e consapevole della sua abilità professionale,
convince la riluttante Rose sua amica, ad aprire una loro agenzia di
lavoro interinale nei sobborghi della capitale.Nell’arco
di poche settimane l’intraprendenza, la fame di rivincita e la
scaltrezza di Angie, consentono di avvicinare e reclutare un numero
sempre maggiore di uomini disperati e bisognosi di lavorare. La donna
assume il controllo delle operazioni e contro la volontà della socia
accetta di operare nell’illegalità stringendo rapporti con altre
organizzazioni che senza scrupoli operano nel settore dello
sfruttamento della mano d’opera.I
lavoratori che si trova a gestire quotidianamente sono tutti stranieri
di cui tanti clandestini senza un permesso di soggiorno o altro
documento valido. Una moltitudine umana nella disperazione più
profonda, affamata, con al seguito famiglie a cui provvedere, spesso
privi di una dimora stabile. Angie
è insensibile alle tragedie che si mostrano vivide a suoi occhi,
diventa sempre più avida, senza scrupoli e mostra una crescente
sindrome di onnipotenza che la porta a sprofondare sempre di più nel
circuito dell’illegalità. La sua è un’attività che cercherà inutilmente
di nascondere alla sua famiglia perché nell’intimo inconfessabile
prova vergogna e che assorbirà tutto il suo tempo, trascurando i
rapporti con il figlio undicenne. Il contrasto con i propri genitori,
lontani dal concepire un simile stile di vita e di accettare la figlia
come una moderna mercante di schiavi, diventa aperto e insanabile.
Incapace di porsi dei limiti e disposta a tutto pur di raggiungere il
massimo profitto, si trasforma in una sfruttatrice in piena regola, ma
il meccanismo così più grande di lei, che ingenuamente si era illusa di
poter controllare, finirà per travolgerla: è sufficiente che un solo
ingranaggio si spezzi e l’intera struttura crolla come un castello di
carte, travolgendo i meno navigati come Angie.L’interpretazione
di Kierston Wareing è convincente e in linea con la filosofia di Loach
di investire del ruolo di protagonisti attori e attrici non affermate
al grande pubblico. Il
mondo in cui si muove Angie è talmente libero da divenire privo di
regole, di valori, di umanità. La libertà d’azione individuale viene
confusa con la libertà di prevaricare i diritti umani altrui. Il libero
mercato imprenditoriale fa da sfondo all’utilizzo degli esseri umani
come merce. Tutto è vincolato al profitto, al bilancio, in un clima di
competizione assoluta.Il desiderio di riscatto della giovane donna è forte e sincero, animato da un bisogno legittimo di affermare il proprio spazio. E’
malsano e distorto l’habitat in cui questo avviene, una realtà che
induce figure come Angie a ritenere normale la tratta degli uomini e
della loro disperazione come comune mercanzia, come una oramai consueta
pratica professionale, il tutto in maniera quasi inconsapevole. In un
frangente di alta tensione la sentiamo urlare alla socia: “ Siamo in un
mondo libero e ognuno fa quello gli pare”Il
centro dell’obbiettivo che Loach intende colpire è proprio questo:
l’assoluta disinvoltura con cui le legislazioni di molti paesi hanno
legalizzato questo mercato e il background culturale che negli ultimi
anni ha cresciuto schiere di manager a vari livelli capaci di costruire
le proprie fortune su di esso e di spacciarlo come una evoluzione
naturale del mercato del lavoro, come un regalo del progresso economico.Cambiano
le definizioni, muta il vocabolario, i lavoratori sono somministrati o
in affitto, le agenzie sono interinali, ma tutto questo non riesce a
mascherare il nauseabondo puzzo di schiavitù moderne, di esseri umani
prima, e lavoratori poi, privati della loro dignità e della libertà di
scegliere. Il tempo avanza inesorabile ma le miserie umane si susseguono, si cambiano il vestito ma rimangono immutate nella sostanza. Ad
emblema di ciò la frase che il babbo di Angie pronuncia indignato
nell’istante in cui scopre realmente in cosa consiste il lavoro della
figlia: “ Stiamo tornando ai vecchi tempi?”.
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