IL CALCIO E LA NAZIONE
Flavio Novara e Marco Balugani
Un fiume di
bianco-rosso-verde sfila dinanzi a noi. Una sorta di festosa parata dove il
tricolore domina incontrastato la scena. Urla e schiamazzi, pianti e abbracci,
cori che all’unisono inneggiano alla vittoria o allo sfotto verso gli
sconfitti. E’ il mondiale, è il calcio.
Festa per una vittoria che
unisce tutti, belli e brutti, come citava un antico adagio. Una vittoria, che
come alcuni sostengono, fa davvero bene al paese e ne esalta il senso di
appartenenza. Ma di appartenenza a cosa? E’ davvero necessario credere che la
vittoria di un mondiale possa bastare a fare tutto questo? Non c’è forse
bisogno d’altro per credere nell’appartenenza a un paese, ad una nazione?
Il problema della “Nazione
Italia” affonda ancora oggi, in particolare nel sud, le sue radici nel periodo
pre-unità d’Italia. Periodo in cui interessi vari, del Vaticano e degli altri
regnanti dello stivale, non concessero spazio ad una nascente borghesia
illuminata. Da quel periodo in poi, occorre attendere sino al periodo fascista,
per ritrovare il concetto d’italianità. Un’italianità traviata e esaltata da
concetti razzisti e oppressivi. Periodo questo che rimane, comunque, l’unico
reale tentativo culturale istituzionalizzato di dare un’identità univoca a una
nazione. Nemmeno la Resistenza, con il coinvolgimento delle forze politico
democratiche presenti nel nostro paese come i cattolici, i comunisti e i
monarchici riuscirono a tanto.
Nonostante fossero uniti nel
cacciare dal paese l’usurpatore tedesco e il suo complice fascista, l’Italia
uscita dal dopo guerra rimaneva profondamente divisa, tra chi credeva
nell’unità dei popoli in chiave socialista al di fuori della nazione e chi
invece, in nome di un’identità radicalmente ancorata ai principi cristiani e a
patti atlantici, mirava a chiudersi all’interno dei proprio confini. Ovviamente
in nome di un’italianità ancor troppo legata al vecchio e superato regime. Il
contrasto degli uni contro gli altri, sino a pochi anni orsono, aveva lasciato un’unica vittima: il senso di
nazione e di appartenenza di un popolo.
Oggi, nell’Europa delle
nazioni, riemerge attraverso l’unica cosa che tristemente ma realmente unisce
il nostro popolo. Il calcio.
Non si può infatti rimanere
indifferenti nel vedere i nostri giocatori osannati, al loro rientro da
Berlino, come il migliore dei nostri eserciti. Al Circo Massimo come in tante
altre strade, cera il nostro popolo. Non importava se juventini o milanisti, se
semplici massaie o taxisti frustrati dal decreto Bersani. In quel caos di
piazza cera tutta la voglia di sentirsi liberi dall’oppressione delle
difficoltà quotidiane. C’era la voglia di esprimere una spensierata speranza
nel futuro.
Sarebbe stato bello ed
interessante vedere tanta passione e mobilitazione anche per la difesa del
nostro paese dall’attacco portato verso le ricchezze produttive svendute al
miglior offerente. Nel rivendicare un italianità libera ed indipendente nei
confronti di chi ci vuole al suo fianco in guerre condotte in nome della
libertà dei popoli ma figlie della difesa di interessi privati.
Sarebbe bello vedere un
popolo/nazione unito, per ricostruire questo paese da una crisi economica
volutamente mai considerata e per rivalutare valori e diritti sociali ormai da
tutti considerati inutili e limitanti per un
“luminoso” progresso.
Purtroppo questo non è mai
avvenuto. Forse infatti siamo noi i più sognatori, che crediamo ancora che
questo possa un giorno avvenire e non quelli che si accontentano di credere che
una squadra, coperta da scandali e inchieste, riesca a migliorargli la vita.
Il mondiale è finito. Gli
italiani tornano nelle loro case e alla loro vita quotidiana fatta di piccole
cose, come quella di una ditta costruttrice di moto di lusso come la MV Augusta
che ha deciso generosamente, di regalare a ogni giocatore miliardario, una moto
da quindicimila euro. Peccato però che contemporaneamente, nella medesima
azienda sono a rischio i posti di lavoro di oltre quarantacinque famiglie.
Buon giorno Italia.
10/7/06