UN BORGHESE PICCOLO, PICCOLO…
di Boris
Si resta esterrefatti se si pensa alla
strada intellettuale e politica che Fausto Bertinotti ha percorso,
dalla sua acclamata incoronazione a segretario del Partito delle
Rifondazione Comunista nei primi anni novanta, a Presidente della
Camera nell’attuale governo.
Il buon Fausto è passato da
funzionario di “Essere Sindacato”, organizzazione sindacale
comunista e spina nel fianco della CGIL, a segretario e teologo della
“necessaria costruzione di un partito anticapitalista e comunista”.
Un partito in cui si acclamasse a gran voce che “..a causa della
globalizzazione, gli spazi di riforma del sistema capitalista erano
finiti”. Una radicalità che attraverso un percorso di
contaminazione iniziato con i “Progressisti”, nei fatti ha
trasformato il PRC in un’organizzazione politica il cui gruppo
dirigente, ormai ceto, solo a parole vuol apparire antagonista e
radicale. Da partito di massa, a istituzional-riformatore
organizzato come un comunissimo comitato elettorale. Perché è
di questo si tratta.
Fin qui nulla da obiettare, ognuno fa
quello che ritiene opportuno e dato che questo percorso è
stato apparentemente condiviso dai suoi iscritti, non starò
certo a criticare queste scelte.
Quello che invece mi indigna è
ancora una volta il tatticismo politico-istituzionale, figlio di una
antica politica sindacale, che il presidente Bertinotti ha utilizzato
con le sue ultime affermazioni rilasciate durante un’intervista a
“La Repubblica” il 4 dicembre.
“Dobbiamo prenderne atto: questo
centrosinistra ha fallito. La grande ambizione con la quale avevamo
costruito l'Unione non si è realizzata..." o come
altre del tipo “… io non so quanto andrà avanti (questo
governo) può anche darsi che duri fino alla fine della
legislatura, e non ho nulla in contrario che questo accada. Ma per
favore, prendiamo atto di una realtà: in questi ultimi due
mesi tutto è cambiato".
Già, tutto è cambiato e
mai come ora, è necessario che il buon Bertinotti torni in
forza per proclamare il suo “serrate le righe”. Non è
possibile permettere infatti che l’egemonia a sinistra sia lasciata
al Partito Democratico; il partito Veltroniano che immediatamente
dopo la sua nascita, ha cominciato ha lanciare messaggi su possibili
future “diverse” alleanze negli enti locali. Basti guardare
quello che è avvenuto anche a Modena e Reggio Emilia, due
comuni dove certamente il PRC non ha dato filo da torcere alla giunta
regnante.
Un esternazione, quella rilasciata a
“La Repubblica” che come da Bertinotti affermato, deve tener
conto “..dell’autonomia, una grande questione, che nacque nel
'56, con i fatti di Ungheria, con la rottura nel Pci, con lo scontro
Nenni-Togliatti. … l'autonomia di un progetto, che la sinistra ha
cancellato, rimosso. Oggi, per la sinistra radicale, il tema si
ripropone. Devi vivere nello spazio grande e nel tempo lungo, per
creare una grande forza europea per il 21° secolo. Se questa è
l'ambizione, allora tutto va ripensato. Essere o meno alleati del Pd,
stare o meno dentro questo governo: tutto va riposizionato in chiave
strategica".
Una strategia che a quanto pare non ha
intenzione di discutere neanche con la propria base. Basti verificare
il percorso democratico compiuto nel suo partito per decidere la
nascita della federazione della “Sinistra Arcobaleno”. Una
decisone non votata e discussa solo marginalmente negli organi
dirigenti del partito o con una conferenza programmatica basata
essenzialmente sullo sventolare “il pericolo della vittoria delle
destre”. Un percorso democratico discutibile ma certamente meglio,
di quella decisione, ormai data per certa, secondo cui si rinvierebbe
il congresso nazionale previsto a marzo, a data da destinarsi solo
dopo una consultazione con i segretari regionali.
Alla faccia di un partito di militanti
che vivono e partecipano alla costruzione di un progetto per un nuovo
mondo.
Caro Bertinotti è inutile
chiudere il recinto quando i cavalli sono ormai scappati. Se qualcosa
come presidente della Camera dovevi dire, era quando nulla si è
fatto per eliminare la legge Biagi, quando si è deciso di
proseguire nella costruzione della base di Vicenza, quando si è
proseguito nella finanziarizzazione delle missioni di guerra, quando
si è permesso di soffocare la laicità dello stato,
quando non si è fatto nulla per una seria riforma delle Tv,
della sanità e della lotta all’evasione fiscale.
C’è forse un motivo se i dati
forniti in questi giorni dal CENSIS tracciano un profilo degli
italiani dove l’80% non crede più ai partiti. Non crede
perché è ora che si torni a “fare" politica e
non a strutturarsi come lobby e concentrare la propria attività
su tatticismi partitici di bottega che a lungo andare conducono solo
alla costruzione “del nulla” e alla distruzione della fiducia
nelle istituzioni. Basta con le parole, è ora di fatti.