RITORNO A
GENOVA
Boris
Sin dalle prime luci del mattino
questa città mostrava tutta la sua bellezza. Il sole illuminava le case d'antica
fattura che affacciandosi sul lungo porto, sembrano quasi abbracciarlo. Quanta
storia è passata tra queste banchine oggi ormai in mano a multinazionali del
trasporto. Lotte di camalli per il diritto ad un lavoro faticoso e di un popolo
della città del porto, che tutto vuole e nulla è disposta a concedere. Un mondo
intero disseminato tra vicoli e affranti dove il rispetto domina incontrastato
sulla conoscenza.

Non è un sabato qualunque questo. E'
un giorno in cui sono tornati in largo Caricamento, gli uomini e donne che quel
tragico luglio 2001 vennero in questa città per urlare ai potenti della terra il
loro disappunto. Un urlo che partiva dal cuore e che come mai era successo,
aveva i colori della Pace e un'unica parola d'ordine: vogliamo un mondo
migliore. Uno slogan solo forse per alcuni, ma una questione di vita o di morte
per altri. Come per Carlo Giuliani.
Abbiamo ampiamente ricordato nei
nostri speciali, cosa avvenne quel giorno e con quanta violenza quel grido di
giustizia fu soffocato e reso inascoltato. Una violenza gratuita esercitata da
chi quel giorno, doveva dimostrare al mondo dei potenti, intransigenza e
capacità di controllare e reprimere qualunque opposizione.
Altro non può essere definito,
soprattutto dopo la bocciatura, da parte del parlamento, di una commissione
d'inchiesta su quei giorni e la precedente promozione da parte anche del governo
di Centro Sinistra, dei vertici delle forze dell'ordine che in quei giorni
coordinarono le operazioni di repressione.

Sono in tanti oggi a Genova. Uno
striscione apre il corteo con la scritta “la storia siamo noi”. Dietro il popolo
che dice basta all'impunità delle forze dell'ordine. Nessuna bandiera di partito
è permessa. Nessuna strumentalizzazione da parte delle forze politiche è
concessa. I loro volti contratti esprimono solo sdegno per uno stato-partitico
che pretende il rispetto per se e per le sue forze dell'ordine, senza ammettere
i propri errori o punire in modo esemplare, chi disonora la divisa che indossa.
Uomini non figli della repubblica democratica nata dalla resistenza, che hanno
giurato di servire, ma di quell'Italia fascista, corrotta e violenta che
purtroppo dal 45' ad oggi agisce incontrastata.
Alcuni carri portano con se musica e
speaker politici lanciano slogan. Alcuni reagiscono con cori di risposta ma la
maggior parte resta in silenzio. Non c'è più quell'aria di festa che aveva
globalmente coinvolto tutti e caratterizzava questo tipo di manifestazione. Il
silenzio lontano dai camion era tanto. Un silenzio, che come un urlo soffocato,
ti sovrasta a bocca aperta. Un ardore sotto le braci spente, che ha il colore
rosso del sangue e del tramonto che mentre sviliamo, ancora oggi colora il porto
all'imbrunire.